Spunta a Lerici la carovana delle bellissime fuoriserie della Ferrari, nel settant’anni della fondazione della casa automobilistica di Maranello: e il lungomare si riempie di modelli esclusivi. E – in rosso, come da copione – spuntano anche le ombrelline: le “umbrella girls”, le giovani donne chiamate “a impreziosire” lo scenario, con il ruolo di cornicette. C’è chi apprezza, sostenendo che l’abbinamento è ideale, e rappresenta “la perfezione estetica della bellezza”. E c’è chi si chiede come mai le donne debbano essere considerate, ancora oggi, in qualche modo, elementi da esposizione.
Al di là del rispetto per le scelte della Ferrari, e dell’ovvio diritto di ogni giovane donna di valorizzare la propria immagine, e di indossare i panni della testimonial che più le aggrada, il tema è caldo. Le valutazioni sono diametralmente opposte, a seconda del punto di vista che ciascuno ha. E quello della sessuologa e psicologa spezzina Stefania Valanzano è chiarissimo: «Uno dei baluardi – commenta – le veline da motori. Ovviamente neppure ci si prova, a farne a meno». E rincara: donne e motori, tristezza infinita. Si tratta di una rivisitazione del vecchio detto “donne e motori, gioie e dolori”: che – nella tradizione popolare – parte da una sorta di equazione fra le attrattive dell’orizzonte maschile. La donna, appunto, ed un’auto di prestigio. Solo che l’una è un essere vivente, e l’altro un oggetto inanimato. E la differenza, c’è. Le Ferrari, e le “ombrelline”, sono state fotografatissime.
L’evento ha attirato tanti appassionati, interessati a vedere dal vivo quei modelli particolari, che nessuno può permettersi di acquistare: eccezion fatta per pochi collezionisti, dalle disponibilità illimitate. Il punto di vista della Valanzano, è destinato a sollevare dibattiti: visto che l’accoppiata fra auto e donna è un “classico”, legato ad una tradizione che fa parte del “costume italiano” da sempre, e che non pare destinata ad emanciparsi.
Le giovani donne, va precisato, erano eleganti: niente a che vedere con certi show in cui l’abbigliamento è succinto, per esaltare le curve. Resta il fatto che si tratta di testimonial femminili, messe lì come “ricami”, a impreziosire un tessuto già di per sé esclusivo. Stefania Valanzano chiede se si possa iniziare a pensare in modo diverso. E la questione è aperta.